TIRANA UNDER 30


Sasso dopo sasso si costruisce un muro, muro dopo muro si costruisce il castello”. C’é molto in questo proverbio del cammino intrapreso dall’Albania verso una democrazia affidabile e un’economia solida. Entrato in vigore l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, primo passo per l’ingresso nella UE, e archiviate le feste per l’ingresso nella Nato, la novitá che rischia di influenzare maggiormente le elezioni del prossimo 28 giugno é peró un’altra, facile da indovinare. La crisi non risparmia infatti nemmeno Tirana, dove calano soprattutto le rimesse degli emigranti, fino allo scorso anno (percentuale piú alta al mondo) il 22% del PIL. Non é una novitá invece la disillusione di molti albanesi verso la loro classe politica. L’entusiasmo successivo alla caduta del comunismo pare raffreddato, e nelle ultime tre tornate l’affluenza alle urne é crollata intorno al 50%. Sará l’importanza del momento storico a invertire la tendenza? O ci riuscirá l’impegno di molti giovani che dopo la laurea all’estero decidono di tornare in patria, dove “il fango é piú dolce del miele”?

La prima preoccupazione riguarda peró la regolaritá delle elezioni. Politiche del 2005 e amministrative del 2007 si sono svolte fra i molti dubbi degli osservatori OSCE. “Mi aspetto innanzitutto”, dice Benko Gjata, corrispondente dall'Italia dell'Agenzia Telegrafica Albanese, “la capacità di organizzare e gestire elezioni conformi agli standard internazionali. La nostra credibilità aumenterà, e sarà un’ottima opportunità per dimostrare ai partner stranieri che in Albania la democrazia è stabile e matura. La popolazione è però solo moderatamente interessata”. A Tirana, il ricercatore Sokol Çunga é drastico: “La vera battaglia non é per conquistare i cuori e le menti dei votanti, ma per impedire agli altri di imbrogliare. La destra fará di tutto per manipolare le elezioni, come ha sempre fatto. I socialisti sembrano piú popolari al momento, se le elezioni saranno davvero libere vinceranno loro”.

Come tanti coetanei Sokol ha studiato all’estero, ma la sua vita ha deciso di costruirla in Albania. “Sono sempre di piú”, racconta Roland Sejko, autore del documentario Albania - il Paese di fronte e direttore di due fra i più longevi e autorevoli periodici in lingua straniera d’Italia, Shqiptari i Italise e Bota Shqiptare, “i giovani che una volta laureati tornano a casa. Trovano prospettive di lavoro anche in Albania, anzi ne trovano più lí che in economie dove è difficile inserirsi. Per chi ha idee e vuole investire sul proprio futuro, il nostro Paese oggi rappresenta una possibilità.”

A conferma arrivano da Roma i dati del Ministero dell’Istruzione, secondo i quali gli albanesi sono i più numerosi fra gli studenti stranieri iscritti nei nostri atenei (9446 nell’anno accademico 2008/2009, il 20,66% del totale). Ma anche storie come quella di Suela Cuci, rientrata a Tirana dopo la laurea in lingue a Torino. Oggi lavora all’Archivio Nazionale, e parla di un processo di crescita culturale tangibile: “Eravamo un Paese chiuso, dove non arrivavano informazioni e novità, mentre oggi è possibile soddisfare curiosità e hobby. Sono tornata nel 2005 con il terrore delle cose che mi sarebbero mancate, concerti, buone letture, spazi per i giovani. Ma ho trovato molto anche qui. Peccato non ci sia tanta partecipazione, ma anzi una certa passività collettiva. Invece di impegnare due ore in un’attività culturale, si preferisce chiudersi in qualche caffetteria del Bllok”.

Inaccessibile durante gli anni di Hoxha, quando vi abitavano i potenti ed era sorvegliato da sentinelle, il Bllok è oggi il cuore della vita notturna tiranese. E la villetta del defunto leader é soltanto una delle vestigia di socialismo reale del centro della capitale. Poco lontano, la piramide fatta costruire come proprio mausoleo personale da shoku Enver sembra un’astronave atterrata dallo spazio, e in attesa di diventare teatro e centro culturale è usata come scivolo dai bambini. In punta la stella rossa illuminata é scomparsa, e su un lato è pure arrivata una discoteca. Immune ai cambiamenti é solo il rito del xhiro, la passeggiata della sera che da sempre attrae migliaia di cittadini su viale Martiri della Nazione. Il comunismo è invece cosa da nonni, ai giovani restano racconti e pochi ricordi. “Ho vissuto un’infanzia felice e spensierata come molti bambini”, dice Suela, “solo andando via ho capito come fossimo poveri e chiusi. Prima non avevo nessun termine di paragone, conoscevo solo un mondo di piedi scalzi, giochi costruiti con le nostre mani e fantasia. La prima cosa che ho comprato quando sono andata all’estero è stata una Coca-Cola. Ricordo come fosse ora la delusione: faceva schifo, sapeva di chimico!”

Il Partito Democratico del premier Sali Berisha e il Partito Socialista di Edi Rama, sindaco di Tirana, si preparano intanto a spartirsi come sempre il grosso dei voti. Accomunati da una non invidiabile macchia e da un modus operandi quantomeno bizzarro. “L’Albania” racconta Antonio Caiazza, giornalista RAI e autore del prezioso In alto mare - Viaggio nell’Albania dal comunismo al futuro “ha un alto tasso di corruzione. A ogni cambio di maggioranza, nella pubblica amministrazione c’è un autentico repulisti che investe tantissime persone, dagli ambasciatori ai letturisti di contatori. Se un impiegato sa che lavorerà finché durerà il Governo, baderà più ai suoi affari che a quelli dello Stato.”

Comprensibile quindi una disillusione diffusa, scossa però da una nuova voglia di partecipazione giovanile. Come quella espressa dal movimento Mjaft! (Basta!), esempio di attivismo molto pragmatico e quasi nordeuropeo. Da un gruppo di suoi fondatori é nato lo scorso anno G99, partito politico fatto quasi solo di studenti di ritorno guidato dal ventottenne Erion Veliaj. Uno che giá si muove col passo del leader, e si candida ad essere un protagonista della politica albanese degli anni a venire. Prima battaglia in agenda, la gratuitá delle carte d’identitá, indispensabili per votare: “É una poll tax medievale, nega il diritto di voto ai poveri e viola la costituzione. Gli studenti sono i primi ad essere colpiti: quei dieci euro equivalgono al costo di due libri di testo”.

E il mito dell’Italia? È tramontato in fretta, e Lamerica sono diventati proprio gli Usa. Tirana ha dedicato una via a George W. Bush, cambiando nome a via Lavoratori della Rinascita (ildice ballottaggio era con l’altrettanto socialista via delle Barricate) due giorni prima della sua trionfale visita, nel 2007. E il centro commerciale ospitato dai due grattacieli piú alti della cittá, di fronte alla piramide/astronave, si chiama Twin Towers. Se mai mito c’è stato, tra l’altro: “Il vostro Paese mi ha sorpreso in positivo,” dice Gjata, “perché la percezione basata su clichè l’avevamo anche noi. L’Italia mi inquietava, per la mafia e per i modi di fare poco ortodossi. Mi sono subito ricreduto naturalmente.”

Da questa parte dell’Adriatico, il testimone di cattivi é invece passato ai romeni. Anilda Ibrahimi é nata a Valona, abita da dieci anni a Roma e ha scritto il suo primo romanzo Rosso come una sposa in italiano: “C’è una situazione critica e i politici, non essendo capaci di risolverla, la buttano demagogicamente sul pericolo stranieri. Gli italiani esasperati dalla crisi raccolgono la provocazione, e tutto precipita in quello che viene chiamato razzismo. Ma non credo che gli italiani siano razzisti, è piuttosto una guerra tra poveri: ci sono più differenze tra una zona borghese di una città e le sue periferie che tra due nazioni. Vivo in un quartiere elegante, e a nessuno è mai interessato sapere dove sono nata.”

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