ARIEL PINK
24 maggio, El Barrio - Torino

Esattamente come lo immaginavamo. Ariel Pink è esattamente come lo immaginavamo con il solo ausilio dei dischi e di qualche foto sfocata: verrebbe da dire un pazzo, ma non sarebbe esatto. Perché il dubbio che un po’ ci faccia, pur se lontanissimo, resta. Ma soprattutto perché non alla sola pazzia è riconducibile il profilo della figura inquietante in zoccoli, jeans e maglia di Batman sbrindellata che appare in sala dopo il punk-wave venato di glam dei torinesi Milena Lovesick e i paesaggi sonori di loop e feedback dei suoi connazionali Belong. Dell’incrocio tra Lars Ulrich ed Emanuele Filiberto di Savoia che parlotta tra sé mentre sceglie la cassetta (esatto, la cassetta) con la base del pezzo che in quel momento gli gira di fare, accompagnato da figure del tutto in tema come un bassista da discoteca di provincia e una tastierista semplicemente inquietante.
C’è disagio. Pare di stare in un mash-up tra casa Wilson dei tempi più bui, quando il vecchio Brian ci si rinchiuse dentro per qualche lustro, e un SERT degli anni ’80. Ma i pezzi chissà come ci sono, coacervo di metal, pop radiofonico di nuovo molto ’80 e musica da supermercati ricoperto da palate di merda (“Sembra la musica che senti quando sei nei cessi della discoteca a vomitare”, chiosa soddisfatto il frontman di una nota band pisana). E il ragazzo col nome da detersivo li fa pure bene, non sbaglia uno stacco, ci mette l’anima. Peccato soltanto che non si sia in cento in un bilocale, con loro che suonano in un angolo del salotto e qualcuno che corregge di nascosto le birre.


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