TASTI NERI E TASTI BIANCHI
I Black Keys e Blakroc: parla Dan Auerbach
Eravamo rimasti alla colonna sonora di Judgment Night, o giù di lì. Quella cosa molto anni novanta con i duetti rocker/rapper: Helmet e House Of Pain, Slayer e Ice-T, Sonic Youth e Cypress Hill, Mudhoney e Sir Mix-A-Lot (!), Dinosaur Jr e Del Tha Funkee Homosapien (!!), Teenage Fanclub e De La Soul (!!!). L'ultima testimonianza passabile di quella breve stagione, prima che la contaminazione fra i due generi e le due scene – o meglio: l'infatuazione dei bianchi per l'hip hop, e il tentativo di integrarne almeno un po' nel proprio suono – prendesse strade che è già fin troppo rischioso menzionare una sola volta, figuriamoci due. Lo si fa qui accanto in sede di recensione, quindi evitiamo. Due mesi dopo quella raccolta intanto, nel novembre del 1993, sarebbe comparso il Wu-Tang Clan, avrebbe sistemato uno degli spartiacque più imponenti della storia del rap con Enter the Wu-Tang (36 Chambers) e le cose non sarebbero state più le stesse. Nuovi orizzonti, nuove visioni, nuovi standard difficilmente superabili.
Ma stiamo parlando di Blakroc, album suonato dai Black Keys e rappato da una sfilza di nomi che messi in fila mettono quasi soggezione. Perchè ci soffermiamo su Shaolin e sui suoi abitanti più celebri? Perchè RZA, Raekwon e persino Ol' Dirty Bastard fanno parte di questa sfilza, certamente. Ma anche per un motivo più sostanziale, che Dan Auerbach stesso spiega a Rumore. Gli ultras del garage-rock in bassa fedeltà si mettano il cuore in pace: “Fin da quando abbiamo cominciato,” racconta il chitarrista e cantante del duo di Akron, “siamo stati influenzati dall'hip hop. Ascoltavamo il Wu-Tang Clan, usavamo un registratore a quattro piste perchè volevamo registrare musica che suonasse come Enter the Wu-Tang (36 Chambers), con quel suono di batteria sporco e minimale. Siamo stati influenzati da quelle cose tanto quanto lo siamo stati dal rock'n'roll. In studio, abbiamo sempre cercato di registrare della musica che come l'hip hop avesse un beat e un groove. Per questo non è stato strano per noi lavorare con dei rapper o fare musica che può essere considerata hip hop, e non abbiamo adattato il nostro modo di scrivere e suonare alla situazione. E' da sempre una parte di quello che facciamo, l'unica differenza è che io non rappo!”
E noi, pigri come molto spesso i giornalisti musicali sanno essere, che abbiamo sempre catalogato i Black Keys alla voce blues, e che abbiamo cominciato ad annusare qualcosa solo con l'ultimo Attack & Release, perchè prodotto da Danger Mouse. Certo il blues è una forma musicale afroamericana apparentemente lontanissima dal rap, rispetto ad altre che siamo stati abituati a considerare come parenti strette, tipo funk o electro. “Vero, ma il nostro blues deve a RZA tanto quanto deve a Son House, in parti uguali, dal primo giorno. E' una cosa radicata nelle nostre menti, e nel modo in cui suoniamo. Del Wu-Tang Clan mi è sempre piaciuta prima di tutto la produzione di RZA. E' eccezionale: cinematica, scarna, pura, grezza. E poi, tutti questi parolieri sono incredibili: Raekwon è uno dei migliori autori al mondo, in ogni genere. Ogni cosa che scrive è poesia, è visuale, racconta storie. Ogni volta che parla puoi vedere ciò di cui sta parlando, e gli schemi delle sue rime sono pazzeschi, non rientrano in nessun genere riconosciuto di poesia, in nessuno stile predefinito. E' personalissimo, ed è solo uno del Clan: ce ne sono altri otto con lo stesso talento! Una cazzo di parata di stelle!”
Facile dirlo dopo una tale dichiarazione d'amore, ma ascoltando Blakroc - il nome vale per il disco e per il progetto stesso, in verità - tutto torna. Non si tratta infatti di una giustapposizione di stili diversi tanto per farlo un po' strano e guadagnare qualche titolo in più (“E' quello che stiamo cercando di evitare: il rap metal. Stiamo cercando di stargli lontano” dice Auerbach a Q-Tip in uno dei video molto belli ed eloquenti che documentano la lavorazione del disco, disponibili su blakroc.com e destinati a diventare un film intitolato Welcome to Blakroc), ma casomai di fili conduttori ritrovati, tasselli che vanno a sistemarsi al loro posto, musicisti che amano la stessa musica e su quella si trovano a un livello istintivo. Impossibile altrimenti suonare così fresco e spontaneo ma curato nei minimi particolari, così bene, per un disco fatto e finito in soli undici giorni e sostanzialmente improvvisato. “Pat (Carney, batterista – ndr) e io arrivavamo in studio presto, intorno alle undici di mattina, e cominciavamo a registrare, a buttar giù la musica provando le introduzioni, le sedici battute delle strofe, i ritornelli, gli arrangiamenti. Quando avevo parole buone per i ritornelli mi portavo avanti e le registravo cantandole io stesso. Dovevamo costruire i pezzi prima che arrivassero i vari rapper, pù tardi nel pomeriggio. Così avrebbero avuto qualcosa da ascoltare, e su cui rappare. E' stato un lavoro completamente improvvisato, e c'era chiaramente molta pressione su tutti, ma è stato un bene per il progetto e per la sua riuscita.”
L'idea iniziale va accreditata a Damon Dash, imprenditore hip hop a 360? con la Roc-A-Fella Records e tutte le sue ramificazioni. “Ci ha chiamato,” continua Auerbach, “e ci ha detto di voler fare qualcosa con noi. Non avevamo idea di cosa, ma gli piaceva il nostro suono, così abbiamo deciso di prenotare un po' di tempo in studio e vedere che succedeva. Da lì in avanti la faccenda si è ingrandita, ed ha preso forma in modo davvero veloce. Undici giorni, esatto. Uno per canzone.” I rapper li porta Dash, e ci mancherebbe. Oltre ai citati, sono della partita anche Mos Def, Ludacris, Pharoahe Monch, Jim Jones, NOE, Billy Danze dei M.O.P. e la cantante Nicole Wray. Come è stato lavorare con loro? “Non avevamo mai incontrato nessuno prima, è stato tutto nuovo, ma è stato stupendo, e molto interessante. Incontrare queste persone, vedere come ciascuna di loro lavora... ognuno ha un approccio diverso, un metodo diverso, ha bisogno di una quantità di tempo diversa per scrivere. Ognuno è stato sorprendente a suo modo.”
Più di tutti, uno che passa probabilmente per il rapper meno profondo e raffinato della storia. “Sono stato colpito in special modo da Jim Jones. Lo conoscevo come il tipo di rapper che frequenta i locali di strip-tease, roba del genere. Non proprio quello che mi va di ascoltare insomma, pezzi che parlano di auto, soldi e donne, e non in modo molto artistico, capisci? Diciamo che conosce molto bene le caratteristiche demografiche del suo pubblico, e fa musica di conseguenza. Le mie aspettative... non avevo idea di cosa aspettarmi in realtà. In più, non scrive su carta (o su Blackberry, come la quasi totalità dei suoi colleghi fa nei video di cui sopra, e non si capisce se sia davvero più comodo oppure solamente più figo – ndr). Non scrive nessun testo in realtà, si siede e ascolta. Quando è arrivato, si è seduto e ha cominciato a rollare una canna. Stava lì e fumava erba con gli occhi chiusi, e io ho pensato che avessimo sprecato tutto quel cazzo di tempo per nulla. Un'ora e un quarto dopo si è alzato, ha detto che era pronto, è andato al microfono e senza aver scritto nulla ha fatto le sue sedici battute! Che sono molto personali, interessanti e diverse da ciò per cui è conosciuto. Non penso abbia mai avuto un'opportunità come questa per lavorare con più libertà creativa, con gente con una mente più aperta.” Una piccola Pentecoste riconosciuta con tanta autoironia anche dallo stesso Jones: “Per me, questo progetto è simboleggiato dalla canzone a cui partecipo con Mos Def. Non sono certo considerato uno dei rapper più lirici sulla piazza, ma sento di non aver sfigurato di fianco a lui in quel pezzo, e questo significherà pur qualcosa.”
Visto che lo si è citato: la stella Mos Def? L'uomo ormai più famoso come attore che come musicista? “E' super creativo,” riprende Auerbach, “è un'enorme sfera di energia, arriva nella stanza e la accende. Ha un sacco di carisma, ma è anche un tipo carino, tranquillo, non se la tira, ed è bravissimo. E' quello che pensavamo si sarebbe adattato meglio al progetto, lo avrebbe capito meglio, e così è stato. Si è messo in gioco, ha preso il microfono e ha cominciato a cantare, improvvisando. Poi si è messo a scrivere rime come un pazzo.” Nicole Wray invece non è molto conosciuta da queste parti... “L'ha scoperta Missy Elliott quando aveva sedici anni, l'ha fatta cantare sul suo album e l'ha portata in tour. Ha una voce eccezionale e una splendida personalità, aperta a ogni idea, niente ego. Per questo fare musica con lei è molto facile. L'abbiamo soprannominata duct tape (quello che noi chiamiamo “nastro americano” o “gaffa” - ndr), perchè in ogni canzone che aveva bisogno di aiuto mettevamo la sua voce, e tutto si aggiustava.”
Resta da chieder conto a Dan di una presenza, un'assenza e una via di mezzo. Cominciamo da quest'ultima: in puro stile hip hop, Blakroc non si fa mancare nulla, nemmeno il morto che rappa. La partecipazione di Ol' Dirty Bastard, scheggia impazzita del Wu-Tang Clan passata a miglior vita nel 2004, ha persino un che di soprannaturale. “La sua è una canzone finita, mai uscita ufficialmente. Abbiamo avuto la traccia vocale da Damon, che lo aveva messo sotto contratto con la Roc-A-Fella poco prima che morisse, e per il quale aveva registrato un album intero tuttora inedito. Continuava a dirci che aveva questo nastro, e noi gli rispondevamo di portarlo assolutamente, ma non lo portava mai. Un giorno all'improvviso se ne è arrivato con la traccia vocale, l'abbiamo ascoltata ed era ottima. Ma la cosa incredibile è che suonava come se fosse stata fatta apposta per noi: calzava perfettamente con uno strumentale che avevamo già fatto! L'abbiamo messa su quello strumentale con Pro Tools, abbiamo alzato il volume e giuro su Dio che è stato pazzesco. Era perfetta: tutti i cambi, i ritornelli, le strofe, tutto. Roba da pazzi. Mentre andava abbiamo cominciato a guardarci fra noi, non ci credevamo.”
Pare che Danger Mouse li avesse messi in guardia: attenti, i rapper non vanno mai a tempo. E invece va a tempo persino il povero Bastardo da lassù. Ma la categoria resta un mondo a parte per due ragazzi bianchi dell'Ohio, e i tempi sono ormai cambiati. “ E' un mondo diverso. L'hip hop è più rock'n'roll di qualunque altra cosa, o di qualunque tipo di rock'n'roll, oggi come oggi. E' il vero rock'n'roll: può essere pericoloso, non puoi mai prevedere cosa succederà, è come giocare con il fuoco, mentre il rock'n'roll al momento è abbastanza soft. Se prenoti una session in studio con un gruppo rock, arriveranno tutti in orario e sarà tutto molto tranquillo; è business, ben lontano dal mondo pazzo che era alla fine degli anni '60.” Non pensa però che il rap soffra ormai da tempo di un calo di spessore costante, e apparentemente inarrestabile? Nascono macchiette a getto continuo, e basta davvero poco per fare la figura di quelli che badano ai contenuti... “Sì, ma è solo musica pop. Come c'è il pop-country, ci sono il pop-rap, il pop-rock e il pop-pop. E' tutta merda, spazzatura, roba che non si prende rischi, da radio. Non la considero nemmeno, non esiste nel mio mondo, la disprezzo, rappresenta tutto ciò contro cui lavoriamo. Ma per fortuna, tutti coloro con cui abbiamo collaborato per Blakroc sono individui veri, e completamente imprevedibili.” Ci sono dei produttori che ama particolarmente nella scena hip hop attuale? “Mah, per quanto Kanye West sia una specie di bambinone agli occhi dell'opinione pubblica, continuo ad amare tutto quello che ha prodotto. Ha molta anima, e adoro quei vecchi campioni soul. A parte lui, molti fanno ottime canzoni, ma non amo il resto del loro catalogo. Come questo Phoenix ad esempio, che ha appena prodotto una canzone per 50 Cent su un mixtape: si intitola Flight 187 ed è favolosa, ma non mi piace null'altro del tipo.”
Meglio il buon vecchio RZA allora, la presenza di cui sopra. Impressioni? “Fantastico. E' il nostro eroe da sempre, è anche grazie a lui che abbiamo cominciato a suonare, ed è stato pazzesco vederlo entrare dalla porta dello studio, sentirlo chiamarci per nome come fossimo vecchi compagni di scuola. Essere riconosciuto dal tuo eroe per il tuo lavoro è impagabile... comunque sia, musicalmente è un genio. Ogni cosa che che fa suona come lui, ha il suo suono. La prova? Quando su Dollars & Sense prende la chitarra elettrica e comincia a suonarla: suona esattamente come RZA! Capisci? La chitarra elettrica! Dio mio! E' il suo suono, la luce che emette. Non importa quale strumento stia suonando o quale genere, è sempre la sua cosa, e suona come solo lui suona. Eccezionale, un vero artista, un genio.” L'assenza pesante è invece quella di GZA, pilastro del Clan e titolare di quel Liquid Swords che lo stesso Auerbach cita a ragione come uno degli album più belli di tutto il giro Wu, e non solo. Come mai allora non c'è? “E' il mio preferito, ma mentre registravamo l'album è uscita una sua cosa con i Black Lips che era semplicemente pessima, inascoltabile. E per quanto amiamo GZA, non volevamo che Blakroc fosse paragonato alla merda che aveva appena fatto, non potevamo lasciare che compromettesse l'integrità e la passione del progetto al quale lavoravamo, e abbiamo dovuto lasciar perdere. Speriamo, dopo aver dimostrato a noi stessi e agli altri di essere genuini, onesti e davvero innamorati di questa cosa, di poter lavorare con lui in futuro.”
Magari nel prossimo disco dei Black Keys? Ci sarà qualche rapper anche lì? “Forse, non so. Mi piace tenere separate le due cose, non sono sicuro che avrebbe senso avere del rap sul nostro disco.” Ci sarà un secondo Blakroc allora? Noi l'abbiamo buttata lì, lui ride soddisfatto e svela: “Sì, ci stiamo già lavorando... anzi, siamo già a metà! Stessa procedura, musica e voce nello stesso giorno, ma altri rapper, tutti nuovi. Niente nomi però, non voglio rovinare la sorpresa!”
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