PUNK CON LE TASTIERE PER LE GENERAZIONI FUTURE
C'è una cosa che più di tutte distingue chi ce l'ha fatta e chi non ce l'ha fatta, o ci sta ancora provando: il banchetto di magliette taroccate fuori dal concerto. Non si sa chi sia a decidere quali fare e quali no, se abbia gusti musicali interessanti, se legga Rumore, se qualcuno all'avvicinarsi di dicembre gli abbia mai chiesto la sua top 10. Non si sa se vengano consultate la classifica di iTunes o quella di Billboard, o i dati delle prevendite dei biglietti. Ma fossimo nell'artista taroccato non ci preoccuperemmo, anzi. Se c'è il banchetto, hai svoltato. Anche se le magliette sono brutte come quelle dei Crystal Castles, per le quali il grafico in incognito chino sul suo computer a Sesto San Giovanni o Torre del Greco non ha proprio dato il massimo. Contano i Magazzini Generali di Milano andati esauriti molto in fretta per l'unica data italiana del duo di Toronto. Conta la bolgia dalla quale siamo appena usciti. E conta un passo avanti netto come il secondo album di Ethan Kath e Alice Glass, pregevole matrimonio fra rumore elettronico e palpitazioni techno-pop che si intitola (o meglio, non si intitola) Crystal Castles come il primo.

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“Quale è la prossima domanda”, senza punto interrogativo. In una decina d'anni di carriera, e con una lista di intervistati che radunati tutti insieme sul curriculum fanno pure un po' impressione, pensavamo di avere ormai scampato la Risposta da Stronzo Numero 1. E invece Ethan, mente musicale dei Crystal Castles, pensa bene di rompere il ghiaccio proprio con quella. Non che gli avessimo chiesto nulla di troppo scottante o indiscreto. Roba da nerd sui suoni del suo gruppo, sulla loro originalità derivante, a quanto si dice, dall'applicazione del nostro nello smontare, ritoccare, rimontare e campionare qualunque aggeggio sia in grado di emettere rumori.

Una cosa molto interessante della vostra musica sono i suoni, ce ne sono di molto diversi e originali, come li costruisci?
Non parliamo mai di queste cose. Non parliamo mai di queste cose.

Non vuoi parlarne?
No.

Sono dei segreti?
No, non sono dei segreti. Ci vuole troppo tempo per spiegare, voglio solo chiuderla qui.

Non è per entrare troppo nel tecnico. Vorrei solo sapere come lavori sulle tastiere e sulle macchine...
Quale è la prossima domanda?

Questo, più le mille difficoltà incontrate sulla strada dell'intervista (tipo management che ti fa sapere all'una meno un quarto che l'appuntamento è alle tre, e a 150 chilometri di distanza da dove ti trovi), più la reputazione non proprio accomodante che il gruppo si porta dietro, più l'assenza ingiustificata di un'Alice che se la dorme nel tour bus, più il cappuccio calato fino agli occhi e il tono di voce che potete immaginare da parte di Ethan. Fate la somma, aggiungete il fatto che spesso i meno disponibili con chi fa il nostro mestiere sono quelli che hanno appena cominciato, mentre chi ha fatto la storia si dimostra al contrario quasi sempre gentile e loquace, e dite: potete biasimare il cronista al quale vengono in mente soltanto le due canzoni più famose di Marco Masini?

Che sia autodifesa, timidezza mascherata da arroganza o immagine pubblica da tenere su, torna utile una buona dose di pazienza, e l'aver passato i '90 a leggere Maximum Rocknroll, Heartattack e Punk Planet più che il New Musical Express, e ad ascoltare i Fugazi più che i Pavement. Si potrebbe mandare il nostro curriculum in anticipo agli intervistati, fare girare anche noi il comunicato stampa come fanno loro, che dite? Altrimenti si spera che vada di culo, come oggi. L'incappucciato diventa quello che è, un ragazzo cresciuto nella comunità punk e catapultato sotto i riflettori, sempre un po' scontroso e molto attento a ciò che vuole fare e ciò che non vuole fare, ma pur sempre un ragazzo. Che nel raccontare la sua storia si scioglie, e si diverte pure.

Ok, la prossima domanda. Quale è stato il tuo primo contatto con la musica? Quale la prima musica che ti ha lasciato qualcosa?
Da ragazzino l'unica musica alla quale sei esposto è quella della radio. Chi era famoso al tempo? Vediamo... c'erano i Nirvana, Madonna... poi qualcuno a scuola mi ha fatto sentire gruppi hardcore come Rorschach, Econochrist, Leatherface, Minor Threat.

Anche io li ascoltavo, pensa che ho visto i Rorschach dal vivo qui in Italia.
Wow, grande! Quando?

Sarà stato il '92 o il '93, erano passati Rorschach e Born Against nel giro di un mese. È bello sentirti citare questi gruppi... cosa ti piacque in loro?
Tutto era molto grezzo, non c'erano regole, non cercavano di piacere a nessuno, non cercavano di avere successo. Era musica molto egoista, fatta per se stessi. Me ne sono innamorato.

Suonavi già?
Sì. Influenzati da quei gruppi, io e i miei amici avevamo messo su un gruppo chiamato Jakarta, io ero il batterista. Suonavamo molto a Toronto, concerti organizzati in spazi abbandonati, o in sale di oratori, o in uno spazio anarchico chiamato Who's Emma.

Ne ho sentito parlare, al tempo...
Lo conosci, wow! Lavoravamo là il sabato, lo tenevamo aperto e organizzavamo concerti nel seminterrato. Intorno alla fine dei '90 però sembrava che tutti avessero lo stesso suono, e ci siamo rotti le palle. A ogni concerto c'erano altre venti band che suonavano come noi. Era come essere tutti nello stesso gruppo a suonare la stessa cosa. Così io e Pino, un amico che suonava con me nei Jakarta, abbiamo deciso di fare l'esatto contrario: musica acustica alla Leonard Cohen o Neil Young, solo due voci e due chitarre. Avevamo già scritto una ventina di canzoni, e prenotato delle ore in studio per registrarle, ma un giorno Pino è morto per un aneurisma. Per me è stato un brutto colpo, suonavo con lui da sette anni nei Jakarta, e da tre nel duo, è stata la cosa peggiore che potesse capitarmi. Così, solo per fare un po' di soldi, ho cominciato a suonare il basso in una cover band degli Stooges. Suonavamo ogni sabato in un bar merdoso dove guadagnavamo 25 dollari a testa, ed ero contento, potevo dare da mangiare alla mia ragazza. Ma mi sono rotto pure di quello, stavamo celebrando il passato, pur se un bel passato. Volevo far partire i Crystal Castles da solo, come qualcosa che arrivasse dal futuro. L'idea era di creare una band che la gente avrebbe ascoltato nell'anno 2023, avanti nel futuro, e vaffanculo al 1970! Andiamo trent'anni avanti, giusto? Cosi ho fatto degli strumentali, e un giorno sono andato a un concerto punk dove suonava il gruppo di Alice, Fetus Fatale. Lei urlava e sfotteva tutti. A un certo punto il batterista ha mandato se ne è andato, lei ha preso un tipo dal pubblico e lo ha piazzato dietro alla batteria: “Tu suoni la batteria!” Io mi chiedevo chi cazzo fosse questa tipa... era incredibile! Così, alla fine, le ho chiesto se fosse interessata a fare sui miei strumentali lo stesso che stava facendo con il suo gruppo. “Per vedere come viene, senza impegno... forse fra trent'anni la gente lo scoprirà”. Ma una sua amica le ha detto di non fidarsi di me. “È una serpe. Suona in quella cover band degli Stooges!” E l'ha convinta. Ma non l'ho dimenticata: un po' di mesi dopo ho visto una sua amica per strada, e le ho chiesto dove avrei potuto vederla di nuovo. C'era una festa quella sera stessa e lei ci sarebbe stata, potevo incontrarla lì. Così ci sono andato con le mie canzoni su un cd, ho levato il cd che stava andando e ho messo il mio. Erano tutti sconvolti: “Che cazzo è? Suona come il Joy Division dal futuro!” Ma Alice mi ha detto di sì, che ci avrebbe cantato sopra.

Avete dichiarato che non volevate fare dance, ma noise e punk usando l'elettronica invece delle chitarre.
L'ho detto perchè al tempo c'era un gruppo di band canadesi che ci piacevano molto, come AIDS Wolf e Sick Lipstick, e provando a spiegare il nostro suono dissi di immaginarle senza le chitarre. I Sick Lipstick si sono sciolti, purtroppo, ma erano una delle nostre band preferite. Ricordo una delle mie prime conversazioni con Alice: “Se ti piacciono i Sick Lipstick perche cazzo suoni in una cover band degli Stooges?”

Hai capito in fretta che la sua voce era quella giusta per la tua musica?
Certo, era perfetta. E anche i suoi testi. È molto severa ed esigente con quello che canta, è come se ogni cosa che dice dovesse essere inedita, la prima volta che qualcuno la sta dicendo. Non dirà mai un clichè. Ogni frase deve essere speciale.

Il nuovo album è stato registrato in molti posti diversi. La musica ne è stata influenzata?
No. Saremmo stati in tour a lungo, e abbiamo entrambi mollato i nostri appartamenti. Finito il tour ci siamo chiesti dove volessimo andare. Io mi sono detto: “'Fanculo, me ne starei pure qui.” E lei: “Ok, me ne sto qui pure io.” Posti diversi: una volta è successo a Detroit, un'altra volta in Islanda... non avevo dove andare, la mia ragazza mi aveva lasciato, condividevamo un appartamento e se lo è preso per se. Siamo finiti a lavorare ovunque fosse l'ultimo concerto del tour. E continuiamo: stavolta restiamo a Londra, abbiamo l'ultimo concerto lì il 20 maggio.

Non ti manca il Canada?
Ci sono cresciuto, ma non mi manca. Non c'è nulla, solo cemento e puttane.

Meglio il tour, quindi: tra l'uscita del primo album e oggi siete stati praticamente sempre in giro...
Sì, anzi abbiamo cominciato prima del primo album, siamo in tour dal primo singolo: Alice Practice è uscito nel luglio del 2006, ed è li che abbiamo cominciato. Dopo un anno e mezzo qualcuno ci ha convinto a raccogliere tutti i 7” usciti fino a quel momento su un unico cd, il primo album appunto, uscito mentre eravamo in tour. Abbiamo aggiunto quattro canzoni nuove, ma tutto il resto era già fuori in vinile.

Quindi questo è il primo vero album dei Crystal Castles, il primo creato come tale.
Sì, l'altro è solo una raccolta un po' random. Questa volta c'era un tema, c'era l'idea di creare qualcosa che fosse completamente tetro e desolato. Anche le canzoni piu vecchie hanno un feeling simile, è vero, ma pensavamo fossero semplicemente canzoni che le generazioni future avrebbero scoperto, non un album. È stato abbastanza strano quando le hanno messe insieme: non erano mai state destinate ad esserlo, al contrario di queste.

Vi vedete a lavorare con un produttore esterno?
No, la nostra musica è molto personale ed egoista, fare da soli è l'unica maniera che ci sembra appropriata.

Avete però remixato o collaborato con altri gruppi, comunque, gli HEALTH ad esempio. Ci sono musicisti che amate, che considerate vostri compagni di strada?
I Sigur Rós. Sono la band più epica dei nostri tempi. Quando il cantante, a un festival, aspettava su un lato del palco che finissimo di suonare ero in adorazione. Cazzo, non potevo crederci! Per me lui è come un elfo magico. Il solo vederlo lì a guardarci era un'emozione enorme. Dopo il concerto lo abbiamo conosciuto, ci ha presentato al resto della band ed è stato bello, sono tutti gentilissimi. Il suo disco solista è fantastico, ha un suono più movimentato e allegro di quelli dei Sigur Rós... ma lo cambierò con il remix che sto facendo!

Visto che siete sempre in giro: ci sono posti dove siete stati che ti sono piaciuti particolarmente?
L'italia, perchè la mia famiglia viene da qui. I miei genitori sono entrambi di origine calabrese, di Cosenza. Quando sono qui mi sento a casa. Un annetto fa abbiamo suonato a Roma e mio zio ci ha portato in giro dappertutto, è stato carinissimo. Il gruppo gli è piaciuto: ha detto che è grande arte astratta.

Archiviata la doppia sorpresa – primo: chi lo sapeva? Secondo: il colloquio diventa davvero roba da Raffaella Carrà quando salta fuori una nonna cosentina anche da questa parte del registratore – resta il tempo per un'ultima curiosità, di stretta attualità. L'uscita dell'album è stata anticipata in fretta e furia, perchè intorno alla metà di aprile le 14 tracce sono finite in rete, naturalmente. Anche se la casa discografica ha detto che il motivo è “l'attesa enorme creatasi alla notizia di un secondo album dei Crystal Castles”.

È stata una decisione vostra o dell'etichetta? Che ne pensi?
Mi sono perso tutto quanto. Non abbiamo controllato molto internet negli ultimi tempi, eravamo in tour. Non so bene cosa sia successo, non ne sono sicuro.

Che è un po' come dire “Quale è la prossima domanda”, o che l'intervista è finita.

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Qualche ora più tardi, i Magazzini Generali consegnano ai Crystal Castles un trionfo che la dice lunga sul potenziale dei due (qui con batterista aggiunto) e sul valore del nuovo materiale. Età media sui 21, calca sudatissima, pugni alzati e salti per inni come l'antica Crimewave o le nuove Celestica e Baptism, che con il suo riff minimalino tanto semplice quanto impossibile da levarsi di testa apre lo show, dopo una intro tetra di riscaldamento. Da vecchi cinici, ci riserviamo alcuni dubbi: sulla fama di animali da palco che precede il duo, evidentemente più legata a comportamenti trasgressivi codificati, tipo scazzare con i buttafuori o i fonici, bere a canna dalla bottiglia di gin, non dire una parola che sia una per tutto il concerto, buttarsi fra il pubblico con metodica puntualità; sulla resa sonora del tutto, che (complici i noti limiti acustici del locale) è molto meno devastante del previsto; sulle reali capacità vocali di Alice, che sovente pare proprio non farcela, tipo che si vedono le labbra muoversi ma non si sente nulla. E sempre da vecchi cinici, diciamo che fra disco e concerto non avremmo dubbi nello scegliere il primo. Ma parafrasando un vecchio slogan, mille ventunenni che saltano non possono avere torto. E nemmeno il tempo per stare a sentire un vecchio cinico.

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