AFFINITA' E DIVERGENZE
I Giardini Di Mirò e i ragazzi dalle magliette a righe

Sembra ieri, e invece sono quasi dieci anni. Sembra ieri, e invece i Giardini Di Mirò sono dei veterani. Con un album (Dividing Opinions) in uscita a fine mese che è soltanto il terzo – in mezzo a una teoria di split, remix, raccolte, collaborazioni e lavori solisti – ed arriva a tre anni abbondanti dal precedente. Ma con una presenza sul territorio, non solo in senso strettamente fisico, che pesa ben più di una semplice discografia. Jukka Reverberi, chitarrista e oggi anche cantante, insieme al pari grado Corrado Nuccini principale motore del gruppo dalla sua formazione, ha come sempre voglia di parlare. E dice come sempre cose più interessanti della media.

Reggio Emilia, 7 Luglio 1960. Manifestazione sindacale attaccata con idranti e lacrimogeni dalla polizia di Mario Scelba, sanguinario Ministro di un monocolore democristiano appoggiato da monarchici e fascisti. La folla respinge la carica a sassate, i celerini aprono la caccia sparando ad altezza d'uomo, autorizzati dal Presidente del Consiglio Tambroni. Cinque operai restano a terra, in cinque luoghi diversi del centro città: sono i Morti di Reggio Emilia cantati da una celebre canzone di protesta. È una delle stragi più dolorose del nostro dopoguerra, e insieme uno dei primi momenti di radicalizzazione per migliaia di giovani che vedono il sogno ancora fresco della Resistenza svanire. Difficile non partire da lì parlando di Dividing Opinions. Difficile non partire dalla bella foto degli scontri messa in copertina e dal titolo insolitamente sintetico e chiaro per gli standard del gruppo reggiano. “È la più grossa ferita inferta alla città nella storia dell'Italia repubblicana. Ci è sembrato importante ricordare, anche a noi stessi, il contributo sia ideale sia di pancia delle generazioni che ci hanno preceduto. Si iniziano a dimenticare alcune cose, anche qui dove sono sempre state non solo importanti, ma portanti . Un assetto valoriale riassumibile da una parola sola: partecipazione. Scendere in piazza ed affrontare anche la morte era cosa normale, lo si doveva fare. Abbiamo scelto quell'immagine per ricordare ciò che eravamo, e non a caso uso il passato: gente che partecipava e non si arrendeva allo stato delle cose. Ma ci sono anche altri riferimenti, stupidi se vogliamo, legati alla foto. Quelli che affrontarono la celere a Reggio e in tutta Italia vennero chiamati ‘ragazzi dalle magliette a righe' (indumento molto in voga e popolare al tempo - ndr), proprio in copertina se ne vede una, e negli ultimi anni sono andate molto di moda le magliette a righe orizzontali…”.

Corsi e ricorsi dell'estetica pop: guardi le foto, e quasi provi imbarazzo nel notare come tanti di quei ragazzi che sfidavano i moschetti a mani nude sembrino gli stylish kids in the riots dei Libertines fatti persona. È comunque un sano cortocircuito se le parole arrivano da uno dei gruppi-simbolo (loro malgrado?) del mondo indie italiano. Entità apolitica quasi per definizione, combriccola abbastanza frivola e sempre più interessata a cose, come dire, meno sostanziali e più legate all'improvvisa vendibilità del fenomeno. Il pubblico alza il pugno o storce il naso? “Non me ne curo. Se il pubblico cosiddetto indie è indolente alle questioni della vita non è un problema mio. Loro casomai. O di chi dice che la politica non lo riguarda e non dovrebbe riguardare la musica. Non mi vergogno delle mie idee, anzi è quasi un vezzo il non tacerle, il volerle dimostrare a tutti i costi. Voglio che si sappia che sono così. Quando ascolti la mia musica magari non pensi che abbia un legame con la politica, e invece c'è sempre stato. Da queste parti è sempre stato naturale essere immersi in qualsiasi forma e modo nella politica.” Anche se la sinistra in Emilia ha sempre rappresentato il Potere, se non altro a livello locale? “Ho molto rispetto per la tradizione del PCI, ma critico anche alcuni suoi aspetti. Vado fiero di quella storia e di avervi appartenuto con la mia famiglia, molti ragazzi del gruppo hanno fatto lo stesso. È una cosa molto importante e teniamo a rilanciarla il più possibile. Ma siamo anche pronti a criticarla quando si deve. Altrimenti si aiuta soltanto ad affossare i punti di forza e le glorie di un pensiero.”

Affinità e divergenze, diremmo. Jukka liquida Giovanni Lindo e si butta sulle opinioni che dividono: “È un titolo che fa pensare e porre domande. La valenza politica è evidente: adesso le opinioni schierano. Non si cerca più di ragionare sul contenuto di una frase detta o di una posizione presa, semplicemente vieni etichettato e riposto da una parte o dall'altra. Ma non è così! Certo io sto di qua, sempre dalla mia parte, ma nella mia parte ho delle differenze. E soprattutto voglio riprendere a ragionare sulle cose che dico e ritengo necessarie. Appartengo a un mondo, ma in questo mondo ci possono essere varianti e variabili. Voglio che si discuta degli argomenti, non del fatto che ho una bandiera addosso.” Che in questo come eravamo un po' polemico ci sia anche un riferimento al ruolo di un musicista? “Il discorso musica/politica è pericoloso, ma se intendi come i musicisti vivono la politica, o come si rapportano al mondo, ti dico che secondo me il musicista può vivere la politica e ciò che lo circonda come un fatto privato, ma non può essere totalmente fuori dal mondo. I gruppi che non si espongono mai, non solo nella musica che fanno ma anche personalmente, alla lunga li vedo poco interessanti. Qualcuno disse che anche il privato e il personale sono politica… io non arrivo fino a quel punto. Essere consapevoli di quello che ti capita attorno ed esprimerti al riguardo mi sembra normale. Hai tanti mezzi a disposizione, senza per forza dover fare una cover di Bella Ciao , ecco.” Non solo in politica però le opinioni dividono. Indovinate l'altro campo di battaglia? “La frase sull'adesivo in copertina, ‘And now the blood is in your hands', è tratta dal testo di Self Help. Lo ha scritto e cantato Glen Johnson dei Piano Magic, e riguarda una storia d'amore. La politica e l'essere nel mondo sono il primo tema centrale del disco. L'amore è il secondo. Sono le cose che ci hanno toccato in questi anni… anche nell'amore ci sono dividing opinions dilanianti! I Piano Magic sono un gruppo che ha supportato il romanticismo estremo, lo scagliarsi contro la vita, e Glen ha scritto un testo che io non riuscirò mai in tutta la mia vita a scrivere. Parla di un amore molto particolare, di una condizione che tanti avranno provato, ma con un epilogo che vorrei che in pochi si trovassero ad affrontare…”.

Una separazione, tanto per restare in tema, sta al centro di questi tre anni abbondanti di silenzio discografico dei Giardini. Entra Alessandro Raina nel 2003 per Punk… Not Diet! , esce alla fine del relativo tour circa un anno e mezzo dopo. La band riparte dopo l'ennesimo cambio di formazione con i chitarristi Jukka e Corrado nell'inedita veste di cantanti, e la qualifica di gruppo strumentale alle spalle. “Abbiamo sempre detto di essere un gruppo che partendo dalla materia strumentale seguiva il miraggio del pop. È sempre stato importante confrontarci con il pop, ed abbiamo sempe sentito la struttura dei nostri pezzi come tale. Il salto c'è stato con il secondo album, quando Alessandro è entrato nel gruppo ed ha cantato tutti i pezzi. Erano nati come strumentali, ma è bastato poco per renderli canzoni a tutti gli effetti. Certo dieci anni fa l'essere un gruppo strumentale ha eliminato delle difficoltà: trovare un bravo cantante,   o avere come cantante uno di noi, cosa non praticabile ai tempi. Per volontà e perché avevamo grosse lacune in materia. Non che siano scomparse…”. Trovato era stato trovato, il bravo cantante. Ma è durata poco: “Dalla vita di musicisti le persone vogliono cose diverse, con diversi ritmi e modi per affrontarle. Nessuna è la più giusta, ci sono però alcune strade che tu decidi di seguire ed altri no, e in quel momento ci si deve separare. È inutile convivere quando ci sono dividing opinions. Siamo rimasti in vita come gruppo, ma non potevamo tornare indietro e ripresentarci di nuovo strumentali. Non sarebbe stato credibile, dopo un disco tutto cantato. Così ci siamo reinventati cantanti io e Corrado. Chi canta meglio? Cantiamo male entrambi, quindi compensiamo. Da da due cose sbagliate ne viene fuori una giusta, no?” Compito comunque non facile, dopo tutto questo tempo senza microfono. “È stato drammatico. Ma non volevamo più immettere persone nuove nel nostro mondo. Ci siamo detti: ‘Se superiamo questa prova continuiamo ad esistere come gruppo, altrimenti la storia finisce'. Cambiare Alessandro con un altro non avrebbe avuto senso, sarebbe stato poco rispettoso nei confronti suoi e del gruppo. Non puoi cambiare persone così come se niente fosse. Io e Corrado abbiamo provato. Col tempo le cose andranno molto meglio, anche dal vivo, ma sono contento del risultato. Chiaro, non siamo cantanti. Ma non abbiamo mai ricercato una fredda perfezione, e spero proprio che si senta.”

Si sente: Dividing Opinions anche per questo suona più immediato e snello dei suoi predecessori, meno lucido . “Non dico che volesse essere il nostro disco rock , ma l'intenzione era di fare una cosa più veloce e meno autoindulgente. In passato abbiamo sempre rischiato di ripiegarci sui suoni, di eccedere in leziosità e barocchismi. Stavolta abbiamo cercato di fare canzoni più dirette, di arrivare a un risultato finale più diretto.” Nel frattempo, il mondo che ha cullato i Giardini ha quasi completato la trasformazione in qualcosa d'altro. Indie è successo, denaro, immagine. “Allo stato delle cose, a volte trovo quasi un'offesa l'essere definito così. Spesso il termine è sinonimo di faciloneria, del vivere le cose un po' così. A me quello che dà da fare (licenza dialettale abbastanza comprensibile: come tradurre, altrimenti? Non è forse perfetta così? - ndr) è il gruppo che nasce e pensa subito a diventare famoso. ‘Non facciamo il gruppo alla Laura Pausini, facciamo il gruppo di musica indie che ci possiamo anche tirare su qualcosa'. Te la dico proprio così, e mi dà fastidio dirla. È diventato un termine come tanti, che presuppone le stesse logiche di tutto il resto, e non mi sta assolutamente bene. Meglio uno che vive facendo buona musica che facendo il tronista da Maria De Filippi, certo, ma partire con l'abbaglio è un rischio per la musica. Viverci non deve venire prima delle esigenze creative, altrimenti è un problema. E l'unica cartina di tornasole possibile è la coerenza negli anni.” E si ritorna così a questi primi dieci anni di Giardini Di Mirò. Sembra ieri, e invece sono già vecchia scuola. “Non abbiamo mai inseguito la chimera del diventare famosi e del vivere di musica a tutti i costi. In questi dieci anni ci siamo cercati dei lavori, ci siamo creati delle professionalità. Abbiamo tutti un lavoro. Siamo indipendenti, ma indipendenti dalla musica. È difficile però, soprattutto ora. Dieci anni fa era più semplice, non dovevi dimostrare niente a nessuno. Non solo artisticamente, ma proprio nella vita. Oggi sono arrivati i figli, sono arrivate le persone che vanno a convivere, ci sono altri a cui dover rendere conto che non sono più mamma e papà che ti dicono ‘Hai fatto tardi'. Ci sono i datori di lavoro, le incombenze a fine mese. Non siamo più ragazzini insomma. E queste non sono dividing opinions, sono dati di fatto.”

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