Karate
The Bed is in the
Ocean
(Southern, 1998)

Il letto è nell'oceano. Come dire: tutto pare tranquillo e pacato, in una canzone dei Karate, ma intorno c'è l'immenso. Rifugiamoci pure a letto - a dormire, ad amare, a digrignare i denti, a guardare con gli occhi che spuntano dal risvolto delle coperte - ma non faremo fesso nessuno. Noi stessi per primi. Delle correnti non ti accorgi, fino a quando non ti ci trovi in mezzo ed è tardi. Geoff Farina (evitate di attorcigliare le lingue: si dice Geff) è un'osservatore minuzioso, racconta ciò che vede come nessun altro, forte di una tecnica chitarristica mai scissa dal gusto e di un cantato/parlato inconfondibile. I fidi e misurati Jeff Goddard (i soliti americani sempliciotti: si dice Geff pure lui) e Gavin McCarthy (ma l'avreste mai detto che Irlanda e Sardegna condividono uno dei nomi propri più tipici?) lo accompagnano, sezione ritmica con tocco jazz e intenzione reggae, macchina slow di altissima precisione. Lo sfondo è la grande diaspora post-hardcore americana degli anni '90, nella quale i magnifici Karateda Boston fanno genere da soli. Pochissimi i riferimenti possibili, giusto qualcosa di Lungfish, Codeine o Low. The Bed is in the Ocean è il terzo album, quello che meglio coniuga l'istinto del prima e le dilatazioni spinte del dopo. Quello in cui Farina scopre il piacere dell'assolo ben giocato o - dipende da come la si vede - “minchia si è messo a fare certi assoli che sembra Pino Daniele”. In ognuno dei casi, chillo è nu buono guaglione.

The repeat-forever moment:
L'incipit, come di solito in ogni disco dei Karate. There are Ghosts che parte voce e strumenti insieme quasi senza il tempo di accorgersene, quel “So quiet/I can hear that the refrigerator is on” prima di parlare di sacchi a pelo e mazze da baseball. E quattro o cinque attacchi di assolo che sono esattamente come e dove dovrebbero essere.

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