In giro con...
MASSIMO VOLUME

“I think in the end, there is no end, the thread frays rather than is cut”, scrisse un giorno Robert Lowell a un amico. Il filo si consuma ma non si spezza. E anche se il ricorso al maestro della poesia confessionale non è il massimo dell'originalità dovendo introdurre un pezzo sui Massimo Volume (che hanno messo all'inizio del loro ultimo album un brano intitolato proprio così, Robert Lowell), quelle poche parole sembrano adatte a descrivere la vicenda del gruppo, fino alla riunione che nel 2008 l'ha riportato sulle scene e a quanto venuto in seguito.
Con una differenza non da poco: il filo pare in ottime condizioni. Passato attraverso ripetute tempeste, logoratosi fino quasi a sparire, ma evidentemente mai rottosi completamente. Rimasto in qualche modo sempre teso fra i protagonisti innanzitutto, ma anche fra loro e la loro gente; gente che li aveva seguiti fin dall'inizio e non aveva digerito benissimo Club Privé come ultimo atto e lo scioglimento seguente; o che invece non aveva avuto l'opportunità di farlo per ragioni anagrafiche, e ha coltivato il desiderio e la speranza sulla fiducia, per anni.
“Io non ti cerco/Io non ti aspetto/Ma non ti dimentico”: come spesso succede, le parole di Emidio Clementi tornano utili in molte circostanze diverse nella vita delle persone, e a questo frammento di Le nostre ore contate pronostichiamo un avvenire da grande massima clementiana, tipo “Perché siamo stanchi di novità”, “Come faremo a uscire da questo fiume di merda puliti e profumati?” o “C'abbiamo provato e abbiamo creduto di farcela”. Ma qui e ora, pare perfetto per raccontare soprattutto cosa sia successo nel gruppo e intorno ad esso.
Certo le cose oggi sembrano un po' meno avventurose e rock'n'roll che in passato, e un tour dei Massimo Volume ha l'aria di essere una cosa molto più tranquilla e normale di un tempo, ma chi se ne importa: Cattive abitudini è uno dei dischi migliori nella discografia del gruppo, ha raccolto lodi praticamente unanimi dalla critica e dal pubblico, ha superato le seimila copie vendute ed è anche finito molto in alto nella classifica dei dischi del 2010 di Rumore. Per questo, oltre che per la loro importanza ormai certificata nella storia della musica italiana tutta, in tour con i Massimo Volume ci siamo andati ugualmente, in Calabria e in Sicilia.

Quattro concerti impostati come tutti quelli fatti dall'uscita dell'album in qua: le undici canzoni del disco nel medesimo ordine, dalla stessa Robert Lowell quindi a In un mondo dopo il mondo, e tanti saluti. Con bis naturalmente, aperti da Il primo Dio e Il tempo scorre lungo i bordi. “Ecco, fanno un album intero per volta, adesso tocca a Lungo i bordi” avrà pensato qualcuno, e invece da lì arriva ancora soltanto l'altro inno Fuoco fatuo, mentre altrettanta attenzione è riservata all'esordio Stanze (Ororo, In nome di Dio, una Stanze furiosa quasi come ai vecchi tempi) e uno sguardo fugace a Da qui (Stagioni ogni sera, La città morta ogni tanto). Club Privé, il quarto controverso capitolo che chiuse la discografia della band nel 1999, viene citato di sfuggita solo la prima sera, al Camelot County di Rende, con una versione non particolarmente brillante di Seychelles '81.“Non la provavamo da due anni, era un po' arrugginita...”, dirà Vittoria Burattini.
La data - organizzata da quel gruppo di persone che da qualche anno ha reso Cosenza uno dei centri più vivi del nostro meridione in quanto a musica indipendente, ovvero il collettivo Partyzan, con il supporto dei calabresi a Roma di Sporco Impossibile, e della nuovissima web-tv sudista Trallalàlla - conferma come la stessa tendenza si rifletta anche al banchetto del merchandising, dove il cd di Stanze ristampato dal gruppo stesso dopo anni di irreperibilità vende ogni sera quanto Cattive Abitudini, se non di più. “L'assenza di Club Privé è casuale,” continua la batterista, “mentre meno casuale è la presenza di molte cose da Stanze. Avendolo suonato per intero un anno fa a Bologna per il trentennale del Covo, abbiamo avuto voglia di riproporlo. Vedo che scuote molto, che crea energia, anche se è un po' come se le sue canzoni non c'entrassero col resto. Ma è il disco della gioventù, meno complesso e più diretto, ed è bello riprenderlo. I primi dischi dei gruppi sono sempre qualcosa di importante, un modo per scoprire la loro età giovane. Ho una venerazione per il primo dei CCCP ad esempio, più che per il secondo o il terzo, che è come se si perdessero nel fluire delle cose della musica. Il primo invece è fondativo, attrae.” “Stanze è un disco più duro e immediato,” le fa eco Egle Sommacal, “e Cattive abitudini è un piccolo ritorno a sonorità più aggressive. Avevamo voglia di tornare sul palco con un bel suono, con un approccio più ruvido e punk.”
Perchè dunque la scelta di basare il concerto vero e proprio sull'esecuzione del nuovo album dall'inizio alla fine? “Crediamo nel disco,” prende la parola Emidio, “e la sua scaletta ci pare architettata bene. Ci sarebbe sembrato posticcio crearne un'altra per i concerti, l'album era uscito in quel momento e avevamo scelto quella disposizione e quel tipo di paesaggio, ed era giusto dare credito al lavoro svolto. Qualcuno ha criticato il fatto che dopo tre o quattro canzoni viene a mancare la sorpresa, se hai ascoltato Cattive abitudini sai cosa arriva dopo. Se no, un un blocco di undici pezzi tutti nuovi può essere anche pesante. Ma dopo due anni di tour celebrativo con pezzi vecchi di quindici anni o più, avevamo la necessita di un set nuovo di zecca.” Continua Egle: “La scaletta è costruita per seguire una narrazione. Magari non strettamente consequenziale nei testi, non è un concept album, ma c'è. Suonandolo tutto di seguito diciamo quello che volevamo dire con il disco, e teniamo la seconda parte del set per i vecchi brani. La cosa durerà comunque solo per il primo giro di concerti, poi troveremo un'altra formula.”

Ogni cosa a suo tempo. Una delle caratteristiche salienti di questo ritorno è proprio la calma con cui ogni cosa è stata fatta. I tempi che il gruppo si è preso per rimettere tutto al suo posto, tempi più lunghi rispetto alle molte riunioni che puzzano di bruciato. Come a voler procedere con cautela, senza strappi, godendosi ogni momento. Due anni di attesa per un album di materiale nuovo, ad esempio. “All'inizio non si sapeva neanche se la riunione sarebbe stata duratura,” racconta Egle mentre ci si sposta verso Messina, e la Sicilia appare maestosa dai finestrini destri del furgone, dall'altro lato dello stretto. “Poi per molto tempo non abbiamo composto materiale inedito, ma quando abbiamo cominciato a farlo, in mezzo ai tour e agli impegni personali, di tempo ce ne è voluto poco.
Meno che in passato.” Mimì conferma: “Abbiamo tenuto un passo piuttosto spedito, rispetto ai tempi nostri. C'è stato il disco dal vivo, ci sono state moltissime date, abbiamo cercato di inserire la lavorazione di Cattive abitudini fra le pause dei concerti. La prospettiva di lavorare a materiale nuovo ha reso meno celebrativo il tour, anzi. Tutto il processo mi è sembrato facile, sereno, sciolto. Ci sono stati anche momenti in cui ci siamo incagliati, ma se paragonato agli altri quattro album questo è uscito fuori quasi di getto.” “Ero abbastanza scettico,” continua Egle, “sulla data scelta per la registrazione: conoscendo i nostri tempi non pensavo che saremmo stati pronti. Invece abbiamo addirittura scartato molte idee prima di entrare in studio. Il lavoro per la sonorizzazione di La caduta della casa degli Usher (la prima vera scintilla di riunione dei Massimo Volume, commissionata dal festival torinese Traffic nel luglio 2008, diventata quasi immeditamente un pacchetto comprendente anche un concerto canonico – ndr) ci ha dato un grosso impulso creativo. Abbiamo constatato che riuscivamo ancora a comporre cose che ci piacevano, poi tutto è andato avanti con tempi naturali, senza scadenze.”
Come il citato Stanze, in un ritorno alle origini che non può essere solo coincidenza, Cattive Abitudini è stato registrato in diretta. Tutto il gruppo che suona insieme nella stessa sala, e fissa su nastro il risultato. Stavolta non per ragioni economiche, però, ma per scelta. Di nuovo Clementi: “Abbiamo deciso di lavorare con Francesco Donadello (batterista dei Giardini Di Mirò, oltre che tecnico del suono di livello internazionale e responsabile della grana sonora calda e avvolgente dell'album – ndr) perché sapevamo che andava sempre più verso l'analogico, ma la scelta di lavorare in questo modo è stata soprattutto sua. Ci piaceva l'idea del limite, del dover prendere decisioni importanti già in una prima fase della registrazione, perché il nastro a disposizione non è tanto e bisogna scartare subito le versioni venute non particolarmente bene. Così facendo, siamo entrati subito nel vivo. Con tutte le applicazioni del digitale, invece, hai uno spettro di possibilità così vasto che rischi di perdere il senso di ciò che è davvero necessario al pezzo.” “Suonarlo tutti insieme in studio,” aggiunge Vittoria, “è stata una scelta giusta. Comunica il suono di un'unità che si sarebbe persa.”

Unità di quattro persone, naturalmente, perché ai tre membri storici si è aggregato proprio con la riunione del 2008 il più giovane Stefano Pilia, nome di punta dell'avanguardia chitarristica non solo italiana (due dei suoi molti progetti lo vedono al fianco di Mike Watt e di David Grubbs, per dire). “Sono molto contento,” racconta, “sia di Cattive abitudini sia di questi tre anni o quasi. Che sono cominciati in un modo, sono continuati in un altro e ancora stanno cambiando. Mi piace pensare che il disco sia un punto di partenza, non lo sento come definitivo.”
Non deve essere stato facile l'inserimento in un nucleo di personalità così forti, per Pilia e per gli altri allo stesso modo. Sia Egle sia Stefano raccontano della loro utile esperienza comune, antecedente alla riunione dei Massimo Volume e tuttora in corso, come membri della band che sonorizza i reading di Wu Ming 2. Eppure... “Non tutto è filato sempre liscio, a volte ho dovuto tenere duro, e quasi mi sono imposto su alcune scelte che creavano frizioni. Loro tre tornavano al lavoro creativo dopo anni, risvegliando aspetti di tensione psicologica che possono essere molto problematici, soprattutto per una band che si è sciolta e poi riformata. Ho capito che avrei dovuto mantenere una certa serenità, sia mia personale sia nell'equilibrare le tensioni degli altri, che però mi hanno comunicato subito fiducia e rispetto.” Sommacal, la sei corde che ha definito il gruppo quasi quanto il recitato di Clementi, dà la sua benedizione: “Ci diamo molti consigli, ci facciamo molte domande a vicenda, abbiamo un'ottima interazione. Stefano ha uno stile diverso dal mio, lo conoscevo come chitarrista dall'anima molto sperimentale, e invece è venuto fuori un approccio più rock, anche più convenzionale del mio, e la cosa ha dato un bel contributo nella leggibilità melodica dei brani.” Clementi concorda: “In certi momenti mi ricorda il suono west coast, o il chitarrista di Tim Buckley, Lee Underwood. Ha dato una voce cantata in piu alle canzoni. Inserire una persona creativa e non un semplice turnista può provocare dei traumi, ma mi pare si sia risolto tutto. Stefano ha contribuito a creare, ha dato una sua impronta soprattutto ai pezzi che erano meno delineati.”
I risultati parlano chiaro: dovendo scegliere, è proprio il dialogo musicale fra Pilia e Sommacal la cosa più entusiasmante - e più nuova: mai in precedenza l'asse chitarristico dei Massimo Volume è stato così in equilibrio - del nuovo repertorio. Soprattutto di quei brani più lenti e dilatati in cui i due si rincorrono, con fraseggi che arrivano a lambire da un lato sperimentale e astratto certo rock-blues acido di chiara impronta anni Settanta. Come a creare un contraltare più caloroso e sanguigno al freddo distacco dell'altro grande titolo psichedelico nella discografia del gruppo, Da qui.
Sono gli stessi i brani che dal vivo guadagnano maggiormente (Pilia: “Forse perché ci rendiamo conto di quanto siano più lenti, e abbiamo paura di perdere la giusta tensione”), soprattutto quando il concerto è in ambienti più formali. Al Teatro Savio, per esempio, i Massimo Volume regalano al pubblico messinese un chiaro esempio di quanto detto, sotto forma di Avevi fretta di andartene e Invito al massacro, Tra la sabbia dell'oceano e Mi piacerebbe ogni tanto averti qui, e di una Via Vasco de Gama moltiplicata nella sua potenza evocativa.

A Palermo, nella splendida cornice dei Candelai (ex bordello del centro storico convertito da anni a club di qualità) e con il pubblico a pochi centimetri, il gruppo pare essersi ormai scaldato, e anche i brani più aggressivi fanno la loro degna figura. Fra i bis, poi, spunta quasi a sorpresa un altro pezzo da novanta della scaletta di Stanze, una Ronald, Tomas e io che anche a quasi vent'anni di distanza mantiene intatto il proprio fascino ossessivo. Ma è quella del giorno seguente ai Mercati Generali di Catania la data migliore, la più intensa e compatta. Mi piacerebbe ogni tanto averti qui e le altre di cui sopra ipnotizzano i presenti; il capolavoro Litio e Fausto li svegliano di soprassalto, bruciando come e più che su disco, la prima una Fuoco fatuo vent'anni dopo per contenuto e portata, la seconda una scheggia epilettica che rimanda a sorpresa ai tardi At The Drive-In. Via Vasco de Gama esplode letteralmente, con una coda che ha pesantezza e rumorosa disperazione degne del migliore screamo anni '90.
La mattina seguente la comitiva si disperde. Chi torna in aereo, chi in furgone, chi resta. Ma l'appuntamento seguente è molto vicino: ci sono da mixare i due inediti che usciranno ad aprile in un singolo diviso a metà con i Bachi da Pietra, al quale ciascun gruppo donerà un inedito e un rifacimento di un brano dell'altro. Occasione tre volte insolita per i Massimo Volume, che mai prima d'ora avevano pubblicato singoli, né tantomeno split o cover (eccezion fatta a metà per Cinque strade, su Stanze: testo dell'originale di Fausto Rossi e musica nuova). “Siamo amici,” spiega Vittoria, “e abbiamo fatto molte date insieme negli ultimi mesi. Abbiamo scelto Morse, dal loro ultimo album, e l'abbiamo resa nostra togliendo le asperità, rendendola più ammiccante; loro hanno bachizzato totalmente Litio, che è diventata spinosa e destrutturata ritmicamente. Un altro domani invece è un pezzo molto nostro, tessitura ritmica di chitarra di Stefano e tempo dimezzato mio e di Mimì, con Egle a fare una parte che cambia quasi ad ogni giro, melodica e ariosa.” “Ci piaceva l'idea di fare una cover di un pezzo attuale,” spiega Emidio, “contemporaneo, come negli anni Sessanta, più che di rimettere in scena cose vecchie. Il nostro inedito potrebbe essere una outtake di Cattive abitudini: ha gli ingredienti classici, ma anche uno sviluppo strano, un quasi-ritornello che arriva subito, variazioni dalle quali non si torna indietro, nessuna parte che si ripete se non sul finale. Crea un vago senso di circolarità.”
Torno sempre a te, direbbe il protagonista di Litio. E i Massimo Volume, ripeteranno la loro storia dopo essere tornati indietro? Resisteranno? “L'intenzione,” conclude Egle, “non è di fare esaurire l'esperienza in breve tempo. Abbiamo voglia di rimetterci al lavoro. Una settimana dopo essere usciti dallo studio c'era già chi diceva di voler scrivere materiale nuovo. La voglia c'è.”

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