SEAM
The Pace Is Glacial CD
“Sì, il mio nome è coreano. Ma a differenza della maggior parte dei nomi coreani, non significa nulla.” Parlando oggi con Sooyoung Park, la prima cosa che viene in mente di chiedere è questa. Perché leggendolo in inglese il nome significa eccome. Troppo bello per lasciar correre, troppo magicamente sensato che il cantante e principale songwriter dei Seam di nome proprio faccia Sooyoung. Non perché abbia una voce da ragazzino, o perché i suoi testi e le sue canzoni emanino gioventù pura e semplice.
È il rock indipendente americano dei ‘90, ricordiamocelo. Gli Arctic Monkeys non sono ancora nati, e tutto è un po’ più cerebrale e problematico. Ha senso perché emana un anelito, una purezza disarmante e un profumo di gioventù a un livello più alto. Ascoltate ogni disco dei Seam, ma sopratuttto questo (gli altri sono Headsparks del 1992, The Problem with Me del 1993 e Are You Driving Me Crazy? del 1995) e soprattutto la sua voce, e probabilmente capirete da soli senza bisogno di ulteriori tentativi di chi scrive. E poi non vorrà dire nulla, ok, ma letto all’americana da leader di una band indie-rock su Touch & Go nei ‘90 non fa automaticamente di te il più figo in circolazione?
Poi magari si scopre che spesso dietro a dischi che cambiano la vita o una porzione della stessa, e ai quali il cuore assegna emozioni e significati per conto suo, stanno solo tre o quattro ragazzi che alle stesse cose danno un significato molto meno aulico, se gliene danno. O che invece magari non hanno semplicemente voglia di parlarne otto anni dopo. O non ricordano tutte le cose che gli si sta chiedendo perché il momento conta, e basta.
E in quanto a momento, The Pace is Glacial suona come pochi. Illuminato dalla voce di Sooyoung, così soffice e calda. Attraversato da correnti che da direzioni diverse convergono e fondono i Sonic Youth più melodici e le palpitazioni lente di Low e Codeine con il migliore emo-rock allora in circolazione. Quello dei Mineral soprattutto, ma anche dei Texas Is The Reason e dei Van Pelt. O di quei Broken Hearts Are Blue che il sottoscritto e gli altri tre o quattro pazzi con in casa quel disco con Twiggy in copertina porteranno sempre in palmo di mano.
Si chiede a Sooyoung quali siano i suoi pezzi preferiti nell’album e lui cita quelli che a ci piacciono forse di meno, il lentone centrale con crescendo Nisei Fight Song (“Mi piace il modo in cui l’abbiamo registrata, e penso che rappresenti al meglio ciò che la band stava facendo all’epoca”) e l’altro crescendo Aloha Spirit, strumentale di chiusura (“È venuta bene pur elei, anche se è in fondo siamo solo noi che cazzeggiamo in studio”). Gli si chiede di parlare liberamente di quel periodo, dei ricordi che ne ha e del disco in quanto tale, e viene fuori fuffa tutto sommato poco interessante. Roba come: “Quello che ruicordo più delle registrazioni è lo sbattersi tra lavoro e studio. Anche se registrammo tutte le basi a Chicago, ho tuttora la sensazione di non aver avuto tempo a sufficienza per ottenere il suono che cercavamo. Ma detto questo, penso che l’approccio spartano che adottammo funziona bene con quelle canzoni ancora oggi. Finimmo a mixare il disco in North Carolina, ci ospitò Laura dei Superchunk e fu fighissimo.”
Gli si chiede di evocare quello che noi vediamo, ma lui non lo vede. Giustamente. E allora ci si ributta in quelle canzoni, in quel trittico di apertura che oggi come allora leva il respiro: inaugurato da una Little Chang, Big City che come prima canzone dei Seam mai ascoltata funziona alla perfezione, tra alternanze piano/forte e sussurri. Proseguito da Get Higher con adrenalina e passione che non sembrano vere. Completato da una Intifada Driving School semplicemente meravigliosanei suoi riff impetuosi capaci di evocare addirittura i migliori Jawbreaker.
Il resto non è all’altezza, occorre riconoscerlo, ma la ragione ormai si è fatta da parte. La lenta e tranquilla Kanawha e la citata Nisei Fight Song, appena più energica, mantengono il clima ma offrono un po’ di meritato riposo. The Prizefighters ricomincia a correre, In the Sun offre frasi di chitarra più nervose, Inching Towards Juàrez rallenta nuovamente sostenuta da arpeggi e melodia sognante, Pale Marble Movie guida verso la fine con pure troppa gentilezza e Aloha Spirit chiude come detto un disco che arriva a risultati limitrofi a quelli dei suddetti colossi emo arrivando da punti di partenza diversi, il rock underground più classico in luogo dell’hardcore. E in questo senso, The Pace Is Glacial è un capolavoro emo anni ’90 ignoto alla stragrande maggioranza dei fans anche più accaniti del genere.
Poco dopo la sua uscita, la band sembra scomparire. Park riemerge qualche anno più tardi negli ottimi Ee, palliativo di lusso per chi sentisse la mancanza della band madre. Il batterista Chris Manfrin continua per le strade più noise dei Sixto e viene avvistato di recente nella band di Archer Prewitt. Del bassista William Shin e dell’altro chitarrista Reg Shrader si perdono le tracce. Ma alla fine arriva la sorpresa. Avevamo capito male, interpretato male otto anni di silenzio e svariati progetti alternativi nati nel frattempo: i Seam non si sono mai sciolti. Anzi. “Dato il nostro lungo periodo di inattività non lo si direbbe, ma siamo ancora un gruppo. Suoneremo al concerto per il ventiocinquesimo anniversario della Touch & Go il 10 settembre, se qualcuno dall’Italia volesse vederci dal vivo!” We’re so young and so gone, lets chase the dragon from our home!
(indietro)
|