TORINO 2009
Voci dal village. Nuovi cantautori nel quartiere che bolle.


Torino è una città grigia. Come soldati giapponesi ignari della fine della guerra, ci sono ancora quelli che lo pensano e lo dicono, ed è sempre divertente incontrarli. Ma oltre che in senso cromatico – con il 16,2% di territorio adibito a verde pubblico, il capoluogo piemontese è al quinto posto in Italia – la frase stona anche in senso metaforico. Da una decina d’anni almeno infatti Torino è più bella e vivibile che mai, e tutt’altro che grigia dal punto di vista sociale, culturale e artistico. La multiculturalità funziona meglio che altrove, trovare un affitto umano è possibile e cominciano pure a vedersi gli autobus notturni. Il fatto è che passata la sbornia olimpica, passata la moda di raccontare e raccontarsi quanto Torino sia cool, messi agli atti i tagli che stanno per abbattersi sulla quasi totalità dell’offerta culturale della città, Torino un po’ grigia rischia di diventarlo nuovamente. Nonostante la nomina a Capitale Europea dei Giovani per l’anno 2010, per esempio. Con l’influenza arrivano gli anticorpi, comunque. Uno più poetico e disincantato, l’altro più propositivo e virale, collegati fra loro dall’uscita di una compilation in download gratuito, e da un quartiere il cui nome mette ancora paura a molti. Soprattutto se non ci sono mai stati.

Chi scrive ricorda ancora le facce preoccupate di conoscenti e parenti quando, verso la fine del 1999, comunicò di aver preso casa a San Salvario. Un rettangolo chiuso a ovest dalla stazione di Porta Nuova e dalla ferrovia, a est dal Po e dal Parco del Valentino, a nord da corso Vittorio Emanuele e a sud da qualche altro corso con gli alberi. Un rione insieme centrale e popolare, che mitiga l’atmosfera tipica dei dintorni delle stazioni con quella di un paesone, e documenta con i suoi citofoni le varie ondate migratorie succedutesi negli anni: prima il nostro meridione, poi Maghreb, Cina, Africa sub-sahariana, Europa dell’est. Il quartiere multietnico e difficile è servito, il meccanismo è il solito: demonizzazione tramite stampa, calo dei prezzi degli immobili, speculazione, apertura di locali notturni, calo reale o apparente della criminalità, riposizionamento della zona come ripulita. Qualcuno compra per farsi semplicemente un bell’appartamento. Qualcuno tira su due muri di cartongesso, ne ricava tre appartamenti più piccoli senza bagno e norme di sicurezza e affitta a una ventina di stranieri senza permesso, 400 euro a testa per un materasso in terra. E sottovoce ringrazia le politiche italiane sull’immigrazione, mentre chiede più sicurezza. I suoi inquilini-fantasma, loro invece sul citofono non c’erano ieri e non ci sono oggi, mentre il quartiere intorno si afferma come esperimento di convivenza in corso d’opera e luogo più vivo e interessante della città. E la prospettiva di trovarsi a San Salvario da mezzanotte alle quattro non fa più così paura. Anzi.

San Salvario da mezzanotte alle quattro è anche il titolo scelto dal cartello Torino Sistema Solare per la sua prima uscita musicale. Una raccolta che documenta le gesta di un manipolo di eccentrici cantautori, trovatisi a convergere proprio su San Salvario, e impostisi come il più importante fenomeno nato dall’underground torinese negli ultimi anni. Cantautori diversi fra loro, ma tenuti insieme da una fitta rete di collaborazioni reciproche e concerti comuni, e accomunati dalla spontaneità e dalla tenacia con cui lontani dalle mode si sono ritagliati uno spazio, e un pubblico, sempre più grandi. Outsider veri.
Vittorio Cane, vero nome Claudio Cosimato, con un album distribuito nei negozi (Secondo) e un paio di video in rotazione alla tv (Ci proverò, in compagnia di Mao, e Domenica) è il più noto del lotto. Lo hanno definito “il poeta delle cose semplici”, a ragione: le sue canzoni sono fatte di poco, e per quello sanno conquistare. Deian, vero nome Deian Martinelli, ha un album d’esordio ufficiale in uscita verso l’autunno, e con la sua band Lorsoglabro rappresenta il lato più rock della faccenda. Adora Syd Barrett, e ha un talento visionario non comune. Stefano Amen, vero nome Stefano Amen, qualcosa come sette album autoprodotti all’attivo, è invece il più maturo e il più musicista di tutti: strizza l’occhio a Dylan e Cohen, e alla scuola italiana più classica, con la voce e il passo sicuro dell’autore importante. Michele Cosentino si è creato un seguito in città con lo pseudonimo di Antimusica, e con hit punkeggianti a presa rapida come Ho comprato la bonza, con relativo sequel Ho finito la bonza. È un beniamino di Radio Deejay, e per la compilation ha tirato fuori dal cilindro Valeria m’hai lasciato e chissà con chi limoni e Castità, Legrottaglie ce la fa. Matteo Castellano, infine, è l’anima sperimentale del gruppo, gavetta da musicista di strada e approccio irregolare fra teatro e ricerca. Le sue Sedipingessicristo e Burroughs #1 aprono e chiudono la raccolta come lampi, togliendo punti di riferimento invece di aggiungerli.

Li incontriamo tutti insieme una sera di maggio, al circolo Sud di via Principe Tommaso. Con la sua atmosfera informale e il suo pianoforte è uno degli snodi principali per i movimenti notturni della zona, e da tre anni il concerto di Natale di Deian è un appuntamento imperdibile. Nel raggio di pochi metri ci sono lo storico ristorante eritreo Mar Rosso, la rhumeria BibeRon, l’altro circolo Lo Sbarco e Horas, fra i migliori takeaway egiziani di Torino e afterhours alimentare affollatissimo da reduci di ogni genere di serata. Altrettanto vicino, al Velvet, sono di casa i Movie Star Junkies e fa tappa con regolarità grazie a Dead Beat Party Agency il meglio del punk-garage internazionale, dai gruppi della In The Red a quelli dell’emergente scena francese. Poco lontano, al parco del Valentino, gli antichi punti d’attracco sul fiume più lungo d’Italia sono diventati locali: il Fluido, l’Imbarchino, l’Imbarco Perosino.
Sono luoghi storici per i movimenti musicali cittadini degli anni ’80 e ‘90: a due passi dal Sud c’era il Tuxedo, culla della new wave cittadina con il redattore capo di questo giornale come dj; qualche civico più in là c’era la prima storica sede di Hiroshima Mon Amour, dove passarono Fugazi, Dinosaur Jr e mille altri. Poi il vuoto o quasi, anni in cui a San Salvario dopo le sette di sera al massimo ci si poteva prendere una pizza, a meno che non si fosse in cerca d’altro. Mentre Castellano si siede al piano e suona Ci vuole orecchio di Enzo Jannacci, da qui partiamo.
“San Salvario”, esordisce Cane, “è un incrocio di forze nuove e popoli nuovi, un intruglio di cose e di energie. Abitassi qui mi sembrerebbe di stare in vacanza. È così un po’ in ogni posto, ma qua è come stare in un’altra città”. E la sicurezza, l’immigrazione clandestina, la delinquenza? Il moltiplicarsi dei locali porta gente per la strada, movimento, luci accese. Il pericolo se c’è arriva casomai dai tossici, al 99% italiani. Sparuti zombi eroinomani che sfidano la forza di gravità, o masse inebriate dalla sempre più insopportabile droga sociale di questo decennio, la bonza di cui sopra. I clandestini, sostiene Castellano, hanno altro a cui pensare: “La pericolosità del quartiere è presunta. Se continuano a dirne male sui media è solo per far cagare sotto la popolazione. Si continua a delinquere molto, soprattutto spaccio e prostituzione, ma nessuno straniero ti farà mai niente. Gli immigrati senza permesso hanno il terrore di finire al Centro di Identificazione e Espulsione. Se sei bianco nessuno ti toccherà mai. Il quartiere è sicuro e vivibilissimo, si esce dal lunedì alla domenica, è pieno di gente in giro”. E se anche così non fosse, per Amen non sarebbe un grosso problema: “Mi sono sempre trovato bene dove c’è tanta delinquenza. Non è la delinquenza che mi spaventa, è la polizia. È il perbenismo”.

Per le presentazioni, ciascuno parla di un collega a scelta. “Vittorio Cane”, dice Deian, “riesce a trasformare cose normalmente viste come punti deboli in punti di forza (“Come Berlusconi”, sorride amaro Cosentino - ndr), diventando in questo modo quasi un artista concettuale. È stonato, ad esempio, ma nella sua poetica questo diventa un valore aggiunto. A pochi altri riuscirebbe, chiedete a lui come fa. Fermo restando che le sue canzoni sono obiettivamente molto belle”. Cane sceglie Cosentino: “È uno che si lancia. Fa canzoni forse non originalissime, ma molto forti. Si propone in modo diretto, scherza con le parole. Già noi siamo anomali, lui è ancora più anomalo”. Cosentino chiude il cerchio con Deian, e un retroscena: “La prima volta che l’ho visto in concerto mi ha fatto una grande impressione. Ho invidiato tantissimo un pezzo in particolare, Nonostante i lampioni, che ha creato un’atmosfera molto lenta e pinkfloydiana. C’era attenzione totale, non finiva mai e la gente non voleva che finisse. La settimana dopo l’ho mezzo copiato per un mio pezzo, Hanno venduto a Kaka”.
Molto amici, Castellano e Amen si raccontano invece a vicenda: “Stefano Amen è avvolgente” dice il primo. “Io vivo in una sua canzone che si chiama Nessuno, o in altre come Gli tornarono gli occhi e New York Berlino Città del Messico. Sono micidiali. C’è tanto dolore, tanto. Mi ha colpito la sua sincerità”. Risponde il secondo: “Matteo è un ottimo musicista, e come autore è uno dei pochi in grado di raccontarmi delle storie senza annoiarmi. Trovo spesso stucchevoli le canzoni narrative, hanno un tipo di umore che non mi coinvolge quasi mai. Lui invece riesce a rapirmi, come in Zitella al neon. Mi impressiona anche la serietà del suo interesse per l’uso della voce: capita di andare da lui la mattina e sentirlo fare esercizi. Una serietà quotidiana, una costanza che invidio e che lo porta in territori per me inesplorati”.
Non del tutto fuori luogo, quindi, la citazione un po’ arty da parte del giovane Castellano di Carmelo Bene come riferimento principale, “per tutto quello che ha fatto nel campo dei tagli sul linguaggio, della destrutturazione del suono del linguaggio. Interveniva sul mezzo, direttamente sul nastro. Aveva la capacità di perdersi nei meandri del suono al di là di quello che stesse cantando o recitando. Faceva l’Amleto e gli tagliava in mezzo Laforgue. Era lui stesso un canto continuo”. Più prosaico Cosentino, quando si unisce a Cane nell’indicare invece Paolo Conte: “Siamo distanti artisticamente, ma la cosa fondamentale è che finisce i pezzi, non ringrazia e anzi quasi manda tutti affanculo. E la gente applaude ancora di più. È un’icona, potrebbe fare quello che vuole”.

Specializzato in concerti brevi ai festival durante il cambio di palco dei gruppi principali (“Alla terza uscita tutti già gridavano ‘Bonza! Bonza!’, ero il profeta della bonza, e ho dovuto emanciparmi dalla cosa. Volevo solo denunciare la monotonia che avevo affrontato io, quando non riuscivo più a studiare e le serate diventavano solo quello, bere dalle sei alle tre, coca per andare avanti. A un certo punto me ne sono uscito, una sera come questa: bevevamo, giocavamo a calcetto, avevamo già pippato. Mi sono messo la giacca e me ne sono andato, senza salutare nessuno, e nessuno se ne è accorto. Lì ho capito che è meglio starsene da soli a casa a leggersi un libro o a pensare a un progetto, piuttosto che condividere il nulla e far finta di niente”) e titolare di uscite discografiche senza disco (“Ve li scaricate tutti i cd, pezzi di merda? Non ve li comprate più? Io vi faccio solo le copertine con i testi allora, senza il cd. Ve lo dovete scaricare da soli”), Michele si scopre cantautore dopo canoniche esperienze di gruppo andate più o meno bene, come anche Stefano, Vittorio e Matteo.
Deian invece comincia da solo, con un quattro piste a cassetta, e alla band arriva strada facendo: “Avevo un po’ di canzoni fatte in maniera molto casalinga, e le ho date a Bugo. Lui mi ha invitato ad aprire un suo concerto, e da lì è partito tutto, quasi per caso. Non mi sarebbe mai passata per la testa l’idea di andare in un locale a chiedere di suonare. Ora ho un gruppo con me, ma non è semplice suonare con gli altri in questa maniera. Ci vuole un autore che scriva i pezzi, e quello sono io, ma mi piace farli suonare dalla band. Vorrei che fosse un lavoro collettivo, però alla fine scrivo tutto io e gli altri contribuiscono solo negli arrangiamenti… è complicato, è problematico”.
Chi il suo contributo lo ha fornito e lo fornisce a tutti o quasi i presenti, e che si fa vedere sul palco soprattutto ai concerti di Vittorio Cane, è Paolo Spaccamonti. Polistrumentista di rango con predilezione per la chitarra, fresco di debutto solista con l’interamente strumentale Undici pezzi facili. “È come se anche lui facesse parte di noi”, sostiene Cane, “ma a lui la cosa fa un po’ paura, perché suona e non canta. ‘Sei un coglione’ gli ho detto, perché alla fine siamo un gruppo, e il gruppo ha più forza di uno”.

Si conclude tornando su Torino, mentre il Sud ha aperto i battenti e si è via via riempito, e la semifinale di Champions League volge al termine. La città cambiata, la sua percezione all’esterno, la vita al suo interno. “Quando dici che sei di Torino”, ragiona Michele, “la gente si immagina ancora la città industriale, il coprifuoco da mezzanotte in poi. Anche se non è più così, piuttosto di spiegarlo continuamente si fa prima a dire che è così, e basta. È una specie di corazza, di bollino di qualità. I gruppi che escono da qui hanno quest’aura intorno. A Torino non ci sono case discografiche come a Milano, per farti ascoltare devi essere incattivito, anche se fai canzoni d’amore. Ti giochi la credibilità ad ogni concerto. È un rischio, una prova da superare senza la protezione di manager o etichetta. Ma è qualcosa che ti forma.”
Continua Matteo: “Torino è un piccolo cosmo, positivo e negativo. Basta a se stessa, è isolata, quasi circondata dai monti. Ci vivi dentro e rischi di passarci cinque anni senza accorgertene, senza uscirne. È strana, ma mi piace. Certo manca il mare, se vado a Cagliari sto meglio, poi torno e sento la pesantezza”. Michele non concorda: “Io apprezzo la mancanza. Piove ed è grigio, e quando arriva la primavera è uno spettacolo. È come privarsi di qualcosa per poi ritrovarlo amplificato. Meglio così. Abitare al mare e passare tre mesi in spiaggia ti rammollisce”. L’arte più rilevante è creata solo in condizioni di sofferenza, privata o pubblica che sia? O si può creare anche stando bene? Il dibattito immortale che parte nei minuti seguenti, l’interessato ci perdonerà l’associazione di idee da due soldi, non poteva che chiuderlo Amen: “Se stai bene non scrivi canzoni”. A Torino qualcuno ha ricominciato a scriverle. Buono o cattivo segno?

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