Cosa li lega? Lo spirito innanzitutto. Un modo di fare il rock'n'roll diverso nelle forme, ma ugualmente maturo e competente, e di alto livello. Nutrito quasi interamente da ispirazioni americane classiche – blues e noise (con sostanziosa aggiunta australiana, dai Bad Seeds ai mille fantastici gruppi degli anni '80) per i Movie Star Junkies; folk, country e pop per i Vermillion Sands – ma trattato con personalità, rinvigorito per l'oggi. E il gusto per la murder ballad, seppur raggiunta da punti di partenza opposti e speculari: il diavolo che rivela sembianze umane, l'angelo che suggerisce di non essere angelo del tutto. Nella vita di tutti i giorni, peró, il legame fra inferno e paradiso è rintracciabile molto più prosaicamente nella formazione dei due gruppi, che condividono la sezione ritmica nelle persone del bassista Emanuele “Nene” Baratto e del batterista Caio Montoro. Ma senza Nene i Vermillion Sands sarebbero rimasti canzoni cantate da una ragazza nella propria stanza, ed è per questo che da lui cominciamo, nei giorni in cui esce il loro album d'esordio. “Avevo già suonato con Anna, avevamo registrato un gospel con un 4 tracce a cassetta, per scherzo. Era la prima volta che si trovava davanti a un microfono, ed ero stato molto colpito dalla sua voce, ma non se ne era fatto niente. Si vergognava a suonare con altra gente. Dopo sei mesi mi ha detto che aveva un paio di canzoni da farmi sentire: mi sono rimaste in testa al primo ascolto! Nel giro di due settimane ho arruolato Davide dei Mojomatics per accompagnarci alla batteria, e le abbiamo registrate. Non c'era nessuna intenzione di fare un gruppo o di farle uscire, erano semplicemente belle canzoni e andavano registrate!” Anna è Anna Barattin, voce e chitarra acustica, che conferma: “Da piccola mi piaceva cantare e mi sono iscritta a un coro, ma ero stonata e mi hanno cacciata. Allora ho deciso di suonare la chitarra, e non sapendo fare nemmeno quello ho deciso di fare entrambe le cose. Qualche volta suonavo con gli amici, ma non è mai stato niente di serio. Mi ero anche fissata col volere una girl band, e in più sono sempre stata timida... proprio quando pensavo di dover lasciar stare è arrivato Nene, e mi ha chiesto di registrare quello che sarebbe diventato il nostro primo singolo. È stata una cosa improvvisa. Le prime canzoni le ho scritte al liceo, ero ossessionata dai Velvet Underground, ma ascoltavo anche molto Robert Johnson, Neil Young e i soliti anni '60.” Riferimenti che non stonano con ció che Nene ha in mente, nonostante un retroterra musicale molto eterogeneo: “Questo suono è quello che ho sempre voluto fare, e probabilmente è anche l'unica cosa che riesco a fare. Mi ha sempre colpito come già negli anni '40 e '50 ci fossero tizi, tipo Hank Williams per il country o Chuck Berry per il rock'n'roll, che suonavano con un'attitudine molto più incazzata e punk di quanto si possa fare oggi: efficacia, semplicità e immediatezza delle canzoni, aggressività ed energia nell'esecuzione, tematiche più frivole mescolate alla tragica fatica di vivere.” Detto della musica, resta la letteratura. “Il nome deriva dai fantastici racconti di Ballard ambientati a Vermilion Sands (con una elle sola), che stavo leggendo in quel periodo. Ogni volta che capitavo su quel nome mi suonava bene come nome di una band. Solo dopo aver mandato in stampa il primo singolo ci siamo accorti dell'errore in copertina, che rincoglioniti! Ma è stata quasi una fortuna, perchè poi abbiamo scoperto che esisteva già una band col nome giusto.” “I testi,” aggiunge Anna, “ parlano di sogni. Adolescenza perpetua. Le poesie che mi piacciono, quello che penso, niente di più. Ossessioni forse. Mi dicono che parlo sempre di morte... la morte mi angoscia, e il doversi salutare per sempre, anche questo mi angoscia. Come scrittore amo molto Philip Roth, e come poetessa Dorothy Parker, ma mi piacciono anche cose di Ezra Pound, e tanti altri soprattutto americani: Fitzgerald, Fante, Lansdale, Kate Chopin.” E Nene? “Dopo un paio di tour europei di cui ho un ricordo bellissimo con Virginia Genta (oggi con Jooklo Duo, Neokarma Jooklo Experience, etc.) il basso di Nene ha preso il posto del suo sax baritono. È a un concerto a casa di Virginia che lo abbiamo conosciuto. La prima sera lo volevamo picchiare, poi è diventato uno di noi.” “Da cosa è nata cosa,” aggiunge il bassista, “e mi sono ritrovato in un furgone per un tour di dieci date. All'inizio andava meglio sul piano umano che su quello musicale, mi sfottevano perchè ascoltavo Byrds e Beatles. Poi con calma abbiamo saputo unire le nostre differenti culture musicali, e abbiamo scoperto che tanto differenti in fondo non sono.“ Eterogenee, quello sí: “Come per il 90% dei gruppi,” racconta Vinz, “il principale veicolo di condivisione delle influenze è lo stereo del furgone. Quando uno sta guidando c’è sempre un’altro di fianco che tiene fermo il maledetto cavetto che collega iPod e autoradio, puntualmente rotto. Ed è un classico: mentre guidi e vorresti ascoltare un buon disco di Gainsbourg o dei Deadly Snakes, ad esempio, hai sempre vicino uno che in quel momento ha voglia di martellarti con i droni degli Earth o le sciabolate degli Athletic Automaton. Gli unici ad essere sopravvissuti illesi ai ricambi di playlist sono Mingus e i primi Black Sabbath, e ultimamente Moondog.” Roba da prendere armi e bagagli e attraversare l'Atlantico una volta per tutte, vista anche la tradizione itinerante del quintetto, che nei primi tre anni di vita ha fatto più date all'estero che in patria. Mai avuta la tentazione di mollare la periferia e sistemarsi in centro? Nene è categorico: “Periferia? Sei gentile e ottimista a definire così la nostra situazione musicale! Non credo che l'Italia possa uscire presto dal piattume musicale in cui si trova, la maggior parte delle band americane comincia a snobbarla nei tour, la cultura si è massificata e non ha mai veramente aperto gli occhi su quello che succede al di fuori dei confini. Trasferirsi sarebbe bello, ma credo che ci sia troppa competizione se si vuole campare di sola musica. Per un gruppo italiano fare qualcosa in America è mille volte più difficile.” Vinz chiude il discorso: “Siamo giunti alla conclusione che l’Italia è una periferia, ma non più di tanti altri posti. Se ci trasferissimo a New York avremmo un sacco di possibilità in più di essere presi sul serio, e magari di camparci, ma dubito lo faremo. Al massimo possiamo iniziare a chiederci perché il governo qui non sganci un soldo per quello che facciamo, noi e tutti gli altri che saltano su un furgone che stanno pagando a rate e vanno in giro per l’Europa a suonare. In Francia beccano parecchi soldi, oltre a sconti sugli affitti e simili. Per non parlare dell’Olanda. Ma qua sarebbe chiedere troppo, anche perché ci sono problemi molto piu grossi. Forse siamo davvero in periferia, e non solo per la musica.” Consoliamoci con i dischi, allora. Vermillion Sands, annunciato da più parti in uscita per la statunitense Fat Possum, ha invece il logo della berlinese Alien Snatch. Che è successo? “A gennaio del 2009,” dice Nene, “abbiamo firmato un contratto per due dischi con Fat Possum, l'album era pronto a marzo e doveva essere fuori a maggio. Poi, per vari motivi, l'uscita è stata rimandata un paio di volte, finchè il feeling tra noi si è deteriorato. Eravamo stanchi di aspettare, e il contratto è saltato.” Registrato in proprio all'Outside Inside di Montebelluna (lo studio che Nene ha messo su insieme a Matt dei Mojomatics), l'album è un concentrato di belle canzoni, freschezza da debuttanti e stile da veterani. “Riascoltando i nostri singoli, noto che la forma cambia abbastanza, variamo da atmosfere folk-punk ad altre country e blues. La continuità sta nell'umore dei pezzi: è qui che entra in gioco una componente più moderna o, se vogliamo usare una parola che non vuol dire niente, più indie. È quello che ci differenzia da molti gruppi che fanno la nostra musica, ma risultano più di genere. Nell'album questa componente viene enfatizzata rispetto ai primi lavori, e nell'EP per Sacred Bones, registrato sei mesi dopo l'album, si può intuire la direzione che stiamo prendendo.” I Movie Star Junkies invece hanno da poco finito di registrare, e al momento di andare in stampa sono alle prese con la scaletta definitiva di quello che ad aprile o maggio sarà il successore di Melville. Materiale che, ascoltato in anteprima, promette di consacrare definitivamente il gruppo fra i grandi dell'underground nazionale, e non solo. Stefano: “Suonerà molto diverso, wah-wah e sonorità lisergiche hanno preso il posto del fuzz, l'organo ha lasciato spazio al pianoforte.” Nene: “Il sound è decisamente più vario: più d'impatto rispetto a Melville, ma ci sono anche ballate molto malate e oscure.” Dobbiamo aspettarci un altro concept? “No,” risponde Stefano, autore di quasi tutti i testi, “anche se ci sono un filo conduttore ed elementi comuni fra le varie canzoni. Lo scrittore che più ha influenzato la scrittura del disco credo sia Nathaniel Hawthorne, tra l'altro grande amico di Melville. Nei testi ricorrono il senso di colpa e il dubbio, come in un passaggio di Carnevali che cito in Almost a God, 'sono incerto come un ramo curvo di salice che fa cenni all'acqua'.” “L’approccio di Stefano,” aggiunge Vinz, “è quello libero ed essenziale utilizzato per il primo album. La componente letteraria è sempre molto presente, temi cari alla letteratura sono trasposti secondo la nostra sensibilità e adattati perche possano funzionare al meglio con la musica, senza avere il sopravvento su di essa né viceversa. Anche nei due testi che ho scritto io mi sono sentito libero di spaziare senza imbarazzo da Walt Whitman al Qoelet a Robert Johnson, al quale sono da sempre profondamente devoto.” E con i garagisti come la mettiamo? Stefano non ha dubbi: “È bello non essere considerati un gruppo settoriale che vuole piacere solo a un certo tipo di pubblico. Questo ci ha permesso con gli anni di suonare anche fuori dai soliti ambienti garage, e di conoscere un sacco di gente diversa con cui condividere esperienze. Il nostro pubblico è sempre più vario e ne siamo molto contenti.” “Credo che Melville sia stato accolto dal pubblico nel modo che volevamo,” continua Vinz, “pur rimanendo un disco di nicchia ha venduto più delle aspettative, e il pubblico si è allargato parecchio rispetto agli standard del passato. È un po' come se la sua reputazione si fosse rafforzata in modo indipendente, anche a prescindere da noi e dai nostri concerti. Si è scelto da solo i suoi amici e i suoi nemici. Abbiamo ricevuto un sacco di mail da gente che non ci conosceva nemmeno, che dice di aver ascoltato Melville per caso e di non averlo più tolto da quando l’ha messo su. Ma anche l'opposto: qualche tempo fa ho letto un blog che diceva qualcosa tipo 'Mi aspettavo un disco di rock’n’roll spaccaculo, e invece è una schifezza tipo Captain Beefheart o Chrome Cranks. Che merda.' Se non sono rock'n' roll spaccaculo Captain Beefheart e i Chrome Cranks...” I Vermillion Sands non hanno casomai il problema opposto, ovvero l'impressione di revivalismo che la loro musica puó dare ad alcuni? “Qualche volta ci penso,” dice Anna, “ma personalmente mi sento ben legata al presente. Le nostre canzoni sono frutto di esperienze quotidiane, non andiamo in giro scimmiottando gli anni ‘60 come molti ancora fanno. Uno stampo retro c’è, ma la cosa non mi dispiace.” “Scusa la presunzione,” replica Nene, “ma se fare revival significa distinguersi da quel piattume di 'nuova musica' che fa la maggior parte delle band contemporanee, io sono per il revival tutta la vita! Soprattutto come produttore, sono molto influenzato dai Beatles post-Rubber Soul, quando entrare in studio non significava più solo registrare dei suoni, ma prenderli, trasformarli, distorcerli, riversarli, stravolgerli, creando un suono oltre che una canzone. Da questo punto di partenza, mi piacerebbe avvicinarmi alle cose più lo-fi di Beck, o a quelle più sperimentali dei Sebadoh. In fase di produzione e mixaggio cerco di essere libero: nel disco trovi dal banjo alla drum machine, dire che facciamo garage è abbastanza limitante. In ogni caso, l'era delle super produzioni leccate ed editate sembra stia finendo, per fortuna. I tempi sono maturi, tranne che in Italia ovviamente, per tornare a registrare quello che si sa suonare senza tanti artifici ed espedienti.” Resta lo spazio per un paio di telegrammi fra cugini e parenti stretti. |